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Mi è stato recentemente chiesto da alcuni lettori come mai io parli sempre meno di geopolitica. Le ragioni sono numerose. Tanto per cominciare, pochi riescono a seguirla senza trasformarsi in tifosi da stadio. Avere un punto di vista è legittimo ma se si arriva - come mi è accaduto - ad augurarmi un tumore perché non condanno apertamente Israele, francamente il giuoco non vale la candela. C'è poi un altro motivo. Gli articoli dove si parla di politica internazionale attraggono, di solito, una tipologia di lettori, i cosiddetti millenaristi, che cerco di tenere il più lontano possibile da questa pagina perché appartengono a quella categoria di persone disposte a leggere qualcuno soltanto se, assecondando il desiderio di Apocalisse che lo riscatti dai suoi fallimenti, gli regala l'assoluzione dai propri peccati.
Chi, razionalmente, non crede in entità salvifiche metafisiche, sa benissimo che il meteorite di 10 km di diametro che 65 milioni di anni fa si schiantò sullo Yucatan, non fece morire soltanto i dinosauri cafoni e maleducati ma anche quelli gentili, affettuosi e che al semaforo ringraziavano sempre il passante e che non davano fastidio a nessuno. Insomma, morirono praticamente quasi tutte le specie viventi. Si salvarono giusto gli squali, certamente non noti per la propria morale cristiana. Erano semplicemente più forti.
Il millenarista è, invece, seriamente convinto che la storia funzioni come un Giudizio Universale che si materializzerà in un'autorità incorporea che distinguerà gli ingiusti dai giusti ai quali, guarda caso, il nostro millenarista sente di appartenere. Leggerà quindi avidamente le vicende della politica internazionale, aspettandosi che l'evento catastrofico rimescoli le carte anche della sua vita.


Aspettarsi che la propria casa crolli, senza sincerarsi di avere almeno una capanna dove riparare, può, oggettivamente, meravigliare la persona razionale. Che tuttavia può essere talmente provata da quel che sta vivendo, da sperare nel colpo di fortuna che lo tiri fuori dai guai.
Il guaio è che i processi storici camminano con la lentezza della tartaruga. Ed anche in momenti indubbiamente epocali come il crollo dell'URSS, ci concentriamo su eventi simbolici anche importanti - la caduta del Muro - ignorando i segnali di deterioramento già intuibili in precedenza.
Il socialismo reale, nel 1991, si limitò ad ufficializzare un crollo che era già nei fatti e che aveva costretto, per dire, Gorbaciov, alla perestroika e alla glasnost, cioè alla plastica ammissione dell'ormai prossima implosione di un modello che, semplicemente, non stava in piedi.
Dunque, anche gli ultimi accadimenti non sono certo né inattesi né imprevedibili. Era razionale che miliardi di persone non avrebbero subito passivamente il dominio americano e che il progressivo isolazionismo - che non inizia con Trump ma con Obama - ci avrebbe consegnato all'era multipolare, con nuove fameliche potenze, per nulla disposte ad accettare un pianeta monocolore. Era razionale che, dopo decenni di follie green, che richiederanno spese allucinanti, in alcuni casi fuori dalla portata persino di persone benestanti, le destre emergessero in Europa. Ed era inevitabile che l'oceano populista travolgesse anche politici carrozzati come Macron e che quest'ultimo faccia di tutto per abbarbicarsi al potere. Anche per questo, sprecare fiumi di inchiostro sui singoli fatti delle singole aree è fondamentalmente una perdita di tempo. Le tensioni tra Corea del Nord e del Sud, per dirla col vernacolo partenopeo, "s'arricordano i cippi a Furcella", cioè è roba vecchissima. Non ci sono novità se non la classica fiammata prontamente cavalcata dai media e puntualmente rientrata. Analogamente, il caos in Palestina come quello in Siria sono gli ennesimi capitoli di una bigionica che dura da decenni, così come le tarantelle in Donbass non nascono nel 2022 ma nel 2013. Così come il lepenismo francese non è un fenomeno di oggi ma registra, semplicemente, l'ennesimo capitolo della sua vertiginosa crescita. Tutti bubboni che, presi singolarmente, sono abbastanza piccoli e che, invece, per la contemporaneità del loro scoppio, mostrano un netto cambiamento, che sta travolgendo molte delle "regole" e soprattutto delle perniciose illusioni su cui si poggiavano i vecchi equilibri, ma niente che non fosse già in corso da tanto tempo e che garantisca la possibilità, per il povero che non riesce ad unire il pranzo con la cena, di diventare l'erede di Berlusconi o di Briatore oppure un divo dello spettacolo e del cinema. Molto più probabilmente, il disgraziato rimarrà povero anche in un mondo teoricamente a misura dei suoi desideri, vedendosi così mostrata non la natura messianica dei cambiamenti storici ma, semmai, quella darwiniana. A sopravvivere sono sempre i più forti, non i più buoni. Gli squali, appunto.

Fingono di sorprendersi solo quei media che, per poter vendere copie e attrarre un'attenzione che oggi va inevitabilmente altrove, hanno bisogno di far credere che stia per arrivare l'Apocalisse che ci farà morire tutti, gonfiando a dismisura l'entità e la portata di avvenimenti per poi dover misurarsi con la realtà che ci dice che un'escalation non conviene a nessuno. In sintesi, nulla di nuovo sotto il sole, nessuna catastrofe, solo un lento movimento che delude chi aspetta l'asteroide che faccia centro esattamente nel giardino del vicino, senza fare guai anche nel proprio.


Franco Marino


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